La Costa dei Trabocchi, che si estende lungo l’Adriatico da Francavilla a Vasto, è ormai famosa nel mondo e costituisce motivo d’orgoglio per tutti gli abruzzesi. Da sempre essi fanno a gara a esaltarne le caratteristiche facendo appello a una cultura millenaria, che spazia da un patrimonio ambientale e storico-artistico di pregio a un’enogastronomia d’eccellenza, fiore all’occhiello del made in Italy. I trabocchi sono strane e complesse macchine da pesca, issate su palafitte e sorrette quasi miracolosamente da una ragnatela di cavi e assi. Non hanno una forma stabile, ma, nelle loro parti essenziali, consistono in piattaforme, composte da tavole e travi non completamente connesse, elevate su primitivi pilastri conficcati sul fondo del mare o su scogli, e congiunte alla vicina riva da esili passerelle. Dalle piattaforme si staccano le antenne, che sostengono le reti per mezzo di un complicato sistema di carrucole e funi. Qui sopravvivono, alla cementificazione in corso, gioielli di rara bellezza dai nomi accattivanti: Cungarelle, Trave, Casarza, S. Nicola, Canale, Vignola, Punta Penna, Libertini, Punta Aderci, Mottagrossa, Fosso Canale, Punta Cavalluccio, Pesce Palombo ecc., dove ancora è possibile immergersi in una natura rigogliosa tra orti e pinetine che sfiorano spiaggette rocciose presiedute dai primitivi trabocchi dei pescatori o godere di viste mozzafiato. I trabocchi hanno un’architettura leggera, verrebbe voglia di dire aerea, ma solida, in grado di sopportare il peso della robusta rete da pesca e le sollecitazioni delle tempeste marine. Non sono un elemento architettonico stabile, ma dinamico, in rapporto costante con le forze della natura, con cui le loro eteree strutture interagiscono continuamente, in quanto ad ogni mareggiata perdono pezzi più o meno importanti, e, dopo ogni tempesta, hanno bisogno di aggiustamenti e riparazioni. A ripararli pensano “i traboccanti”, depositari e custodi di un’antica e affascinante arte, apparentemente primitiva e improvvisata, ma in realtà evoluta quanto le più complesse tecniche ingegneristiche. I materiali adoperati sono i più vari e inizialmente erano legati alle disponibilità locali: l’olmo, l’abete e l’acacia erano i legni più usati, insieme alle corde di canapa. Oggi si adoperano molto anche i fili di ferro e le traversine delle ferrovia: l’importante è che tutti i materiali usati siano rigorosamente di riciclo. Nonostante la varietà dei legnami e dei materiali, comunque, i trabocchi risultano molto armonici ed eleganti nel complesso gioco di fili, corde e pali che si intrecciano tra loro, rendendoli simili a “ragni colossali”, come dice il celebre poeta abruzzese: “La chiamano la Costa dei Trabocchi, per via di quelle strutture che emergono dal mare come mostri primitivi, di cui cantava D’Annunzio che a San Vito Chietino ebbe il suo eremo”
Molto del fascino che i trabocchi emanano, e che sta conquistando i turisti e i visitatori provenienti anche dall’estero, deriva soprattutto dai luoghi in cui sono posizionati. Nella maggior parte dei casi, infatti, i trabocchi sorgono lungo le sporgenze della costa, dove questa forma una punta sul mare, e dove dalla riva si diparte una fila di scogli che permette di raggiungere un punto avanzato sull’acqua, in modo da poter permettere la pesca su uno specchio profondo, dove possono essere sfruttate le correnti che fiancheggiano la costa. Affascinante è anche la tecnica usata dai traboccanti per pescare: le ampie reti vengono calate a mare con un argano girevole fissato nel centro della piattaforma. Di tanto in tanto, vengono rialzate un poco sul livello del mare. I pesci intrappolati, per lo più cefali, spigole, aguglie, e pesce azzurro in generale, restano sospesi fuori dall’acqua, nel cavo della fittissima rete, guizzando in uno scintillio di luce, finché non vengono tirati su con un guadino (la “volega”). Le origini dei trabocchi sono in parte ancora oscure. Pare comunque certo che la loro costruzione risalga all’VIII sec. d.C., quando contadini-pastori, non esperti di flutti e di barche, intuirono però che potevano integrare il loro raccolto agricolo, proiettandosi sul mare aperto con veri e proprio prolungamenti della terra, ovvero con palafitte piantate sugli scogli sottostanti. I primi traboccanti, dunque, non sarebbero stati pescatori, ma agricoltori che avevano capito che, raggiungendo con costruzioni artificiali posizioni avanzate sul mare, avrebbero potuto trarre dalle acque il sostentamento necessario, per integrare i magri frutti offerti dalla coltivazione delle loro scomode e poco fertili terre costiere. Oggi, dopo un periodo di scarso utilizzo e di oblio, i trabocchi sono tornati al centro dell’attenzione, anche grazie ad una legge della Regione Abruzzo, emanata nel 1994, che ne promuove il recupero, considerandoli importante patrimonio culturale e ambientale, vere e proprie opere d’arte da trasmettere ai posteri. Grazie a questa legge, molti trabocchi, ormai in stato di degrado, sono stati recuperati e resi funzionanti, divenendo il vero motivo di attrazione della costa su cui sorgono. La loro primitiva architettura, le vecchie reti, gli utensili di lavoro raccontano storie di epoche lontane ed emanano un fascino d’altri tempi, che accende l’immaginazione e stimola la curiosità di tutti coloro che al misterioso mondo dei trabocchi si accostano.
Per ora vi lasciamo con un po’ di storia ma continuate a seguirci perché dalla prossima settimana vi sveleremo altre chicche su queste incantevoli costruzioni e su come visitarle.
(Fonte: Wikipedia – histonium.net – costa dei trabocchi.net)